Chi siamo
Si è costituita a Viterbo l’associazione Per la Sinistra della Tuscia.Un processo che a livello nazionale vede impegnate varie ed importanti realtà politiche e sociali nel tentativo di ricostruire un processo di aggregazione a sinistra, cha parta dalle istanze dei territori e si confronti con i grandi temi del nostro tempo.Una Sinistra che riesca finalmente a mescolare i segni e i semi di più culture politiche, che sia inclusiva e coerente, attenta alle prassi e che abbia il coraggio di produrre un’idea, un progetto di società più aperto e consapevole, più equo, più attento alla salvaguardia ambientale, ai diritti delle persone, al valore del lavoro.
SINISTRA e LIBERTA'
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domenica 10 maggio 2009
Nota Stampa di Giancarlo Torricelli
Sulla barbarie del pacchetto sicurezza del Governo
Quello che sta avvenendo in questi giorni, l’imminente approvazione del pacchetto sicurezza, il respingimento in Libia di 227 migranti senza possibilità di effettuare la richiesta d’asilo, la proposta di istituire vagoni separati nella metropolitana milanese, il suicidio di una donna immigrata a Ponte Galeria dopo l’annuncio della sua espulsione, sono il segno di una barbarie che mette paura.
Un razzismo che gioca con le paure, si alimenta del timore diffuso, contribuisce a deformare le percezioni, le opinioni, i rapporti. Ma trova le sue radici da un’altra parte: nella necessità di chi governa di ridefinire le strategie di controllo sui corpi, sulla mobilità delle persone, sulla crisi del lavoro, sulle libertà, sul dissenso. Dentro una crisi che modifica tutto, da un lato, le spinte alla libertà di circolazione sono sempre più pressanti, dall’altro, si esaspera la necessità di controllarne le forme e subordinarne le possibilità.
Con la decisione di respingere i barconi dei migranti in Libia, il governo italiano, così sensibile alla retorica della difesa della vita in astratto, ha stabilito che la cittadinanza, italiana o occidentale che sia, è il requisito indispensabile perché qualcuno sia trattato da essere umano.
Eppure l’antica cultura cristiana di questo Paese ci aveva insegnato che quando qualcuno, affamato, malato o bisognoso, bussa alla nostra porta dovremmo farlo entrare. Per il governo italiano è la cittadinanza che stabilisce chi abbia diritto a vivere, ad essere curato e trattato come una persona.
Tra i migranti respinti senza nemmeno mettere piede sul suolo italiano ci sono persone in fuga dalla guerra, dagli stermini e dalla fame.
Impedendo loro persino di chiedere asilo e riconsegnandoli alla Libia, l’Italia li condanna alla detenzione, alle angherie, e, come è già documentato da anni, alla morte.
Così nel nome della difesa paranoica della nostra sicurezza territoriale che accomuna la maggioranza di destra e parti consistenti dell’opposizione parlamentare, il nostro Paese rispedisce nel nulla uomini, donne e bambini, inibiti nell’esercitare il sacrosanto diritto alla fuga dalla miseria e dalla guerra e forzatamente rispediti verso le carceri e le torture di uno dei Paesi più disumani del mondo (senza che nessuno di loro sia libico). Un’autentica aberrazione.
La stessa che ha colpito Nabruka Mimuni, tunisina di 44 anni, che, dopo l’annuncio dell’espulsione si è tolta la vita nella sua cella di Ponte Galeria per evitare il rimpatrio nel suo Paese.
Non è la prima volta, non è la prima storia. Perché nella vergogna dei Centri di identificazione ed espulsione si muore. Grazie al pacchetto sicurezza si potrà rimanere reclusi in questi luoghi infami fino a sei mesi pur non avendo commesso alcun reato.
Di fronte a questi fatti c’è da vergognarsi di essere italiani. Mentre la stampa si affanna intorno ai casi privati di Berlusconi, in questo Paese tutto è diventato possibile, il razzismo è una pratica istituzionale che ha la faccia tronfia e soddisfatta del ministro degli interni di fronte ai poveri barconi respinti.
Il razzismo è la banalità di una quotidianità che mette in discussione perfino i diritti umani. Il razzismo è la semplificazione e l’ignoranza di fronte alla complessità della società in cui viviamo. Il razzismo è la faccia di un potere che nell’individuare un capro espiatorio trova le forme e i modi per autoperpetuare se stesso.
Possibile che il Paese che ha conosciuto l’aberrazione delle leggi razziali non trovi la forza di reagire e di indignarsi di fronte a tutto questo?
Da qualche anno, anche nel Viterbese, una serie di amministrazioni locali stanno sperimentando concretamente pratiche di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo.
Esperienze positive di relazione che andrebbero conosciute, valorizzate e potenziate come modalità concreta per contrastare questa autentica aggressione ai diritti delle persone che non riguarda solo gli antirazzisti e i migranti. Riguarda tutti. Non c’è più spazio per gli spettatori.
Quello che sta avvenendo in questi giorni, l’imminente approvazione del pacchetto sicurezza, il respingimento in Libia di 227 migranti senza possibilità di effettuare la richiesta d’asilo, la proposta di istituire vagoni separati nella metropolitana milanese, il suicidio di una donna immigrata a Ponte Galeria dopo l’annuncio della sua espulsione, sono il segno di una barbarie che mette paura.
Un razzismo che gioca con le paure, si alimenta del timore diffuso, contribuisce a deformare le percezioni, le opinioni, i rapporti. Ma trova le sue radici da un’altra parte: nella necessità di chi governa di ridefinire le strategie di controllo sui corpi, sulla mobilità delle persone, sulla crisi del lavoro, sulle libertà, sul dissenso. Dentro una crisi che modifica tutto, da un lato, le spinte alla libertà di circolazione sono sempre più pressanti, dall’altro, si esaspera la necessità di controllarne le forme e subordinarne le possibilità.
Con la decisione di respingere i barconi dei migranti in Libia, il governo italiano, così sensibile alla retorica della difesa della vita in astratto, ha stabilito che la cittadinanza, italiana o occidentale che sia, è il requisito indispensabile perché qualcuno sia trattato da essere umano.
Eppure l’antica cultura cristiana di questo Paese ci aveva insegnato che quando qualcuno, affamato, malato o bisognoso, bussa alla nostra porta dovremmo farlo entrare. Per il governo italiano è la cittadinanza che stabilisce chi abbia diritto a vivere, ad essere curato e trattato come una persona.
Tra i migranti respinti senza nemmeno mettere piede sul suolo italiano ci sono persone in fuga dalla guerra, dagli stermini e dalla fame.
Impedendo loro persino di chiedere asilo e riconsegnandoli alla Libia, l’Italia li condanna alla detenzione, alle angherie, e, come è già documentato da anni, alla morte.
Così nel nome della difesa paranoica della nostra sicurezza territoriale che accomuna la maggioranza di destra e parti consistenti dell’opposizione parlamentare, il nostro Paese rispedisce nel nulla uomini, donne e bambini, inibiti nell’esercitare il sacrosanto diritto alla fuga dalla miseria e dalla guerra e forzatamente rispediti verso le carceri e le torture di uno dei Paesi più disumani del mondo (senza che nessuno di loro sia libico). Un’autentica aberrazione.
La stessa che ha colpito Nabruka Mimuni, tunisina di 44 anni, che, dopo l’annuncio dell’espulsione si è tolta la vita nella sua cella di Ponte Galeria per evitare il rimpatrio nel suo Paese.
Non è la prima volta, non è la prima storia. Perché nella vergogna dei Centri di identificazione ed espulsione si muore. Grazie al pacchetto sicurezza si potrà rimanere reclusi in questi luoghi infami fino a sei mesi pur non avendo commesso alcun reato.
Di fronte a questi fatti c’è da vergognarsi di essere italiani. Mentre la stampa si affanna intorno ai casi privati di Berlusconi, in questo Paese tutto è diventato possibile, il razzismo è una pratica istituzionale che ha la faccia tronfia e soddisfatta del ministro degli interni di fronte ai poveri barconi respinti.
Il razzismo è la banalità di una quotidianità che mette in discussione perfino i diritti umani. Il razzismo è la semplificazione e l’ignoranza di fronte alla complessità della società in cui viviamo. Il razzismo è la faccia di un potere che nell’individuare un capro espiatorio trova le forme e i modi per autoperpetuare se stesso.
Possibile che il Paese che ha conosciuto l’aberrazione delle leggi razziali non trovi la forza di reagire e di indignarsi di fronte a tutto questo?
Da qualche anno, anche nel Viterbese, una serie di amministrazioni locali stanno sperimentando concretamente pratiche di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo.
Esperienze positive di relazione che andrebbero conosciute, valorizzate e potenziate come modalità concreta per contrastare questa autentica aggressione ai diritti delle persone che non riguarda solo gli antirazzisti e i migranti. Riguarda tutti. Non c’è più spazio per gli spettatori.
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